La Corte Costituzionale ha stabilito che nell’ambito delle finalità del Servizio sanitario nazionale possono essere impiegati sia beni di consumo corrente sia i beni durevoli

24/07/2020

Con la sentenza n. 157 del 21 luglio 2020, la Corte Costituzionale si è pronunciata in relazione al giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1, lett. c), del d. lgs. 118/2011 sollevato, in via incidentale, dalla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Campania nel corso del procedimento relativo al controllo svolto sui bilanci dell’Asl di Caserta, in riferimento agli artt. 3, 81 e 97, commi 1 e 2, Cost., anche in combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 32 della stessa.

Secondo la Sezione rimettente la suddetta norma sarebbe stata in contrasto con i principi costituzionali richiamati nella misura in cui la stessa avrebbe consentito di “includere tra gli elementi del patrimonio netto i contributi in conto investimento e contemporaneamente di utilizzare gli stessi contributi per la ‘sterilizzazione’ degli ammortamenti in conto economico, come se si trattasse di una passività (un risconto passivo o un debito pluriennale)”. In questo modo, infatti, si sarebbe alterato il risultato del conto economico che non avrebbe più espresso il reale andamento di esercizio ed il valore finale del patrimonio netto.

La Corte costituzionale, nel dichiarare l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Giudice rimettente, ha anzitutto affermato la specialità (rispetto all'art. 2424 c.c.) della norma censurata in ragione della diversa finalità del servizio pubblico rispetto a quella dell’attività commerciale: mentre le tecniche di redazione dei bilanci delle imprese commerciali sono collegate allo scopo di lucro, nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, la finalità prevalente è quella di assicurare le prestazioni indefettibili e le ulteriori prestazioni (nei limiti della sostenibilità) alle migliori condizioni qualitative e quantitative.

A tal fine il sistema complessivo di finanziamento del Servizio sanitario nazionale prevede: i) un finanziamento articolato, nella dinamica del bilancio, in modo “non dissimile da quella che avviene negli enti locali relativamente al rapporto tra entrate correnti e spese correnti” (in ogni caso con l’obbligo per le aziende del SSN di assicurare il finanziamento integrale dei Lea mediante l’utilizzo delle spese correnti); un finanziamento, inquadrato nell’ottica di una programmazione centralizzata attraverso l’interazione tra Stato, Regione ed ente, nell’ambito della quale vengono individuati i progetti di investimento per l’acquisto di beni durevoli e le dotazioni infrastrutturali che “a partire dall’esercizio 2016 devono essere interamente ammortizzati nell’esercizio di acquisizione”.

Tuttavia, prosegue il Giudice delle leggi, non è prevista una sanzione a carico degli enti che utilizzano i contributi in conto esercizio per investimenti e beni durevoli dal momento che vi possono essere delle situazioni di emergenza nel corso delle quali l’improvvisa necessità di beni durevoli può richiedere un finanziamento aggiuntivo in conto esercizio.

In sostanza la Corte Costituzionale afferma che nell’ambito delle finalità del Servizio sanitario nazionale, siano esse tanto di natura ordinaria, che di carattere eccezionale o emergenziale, possono essere impiegati sia beni di consumo corrente, sia i beni durevoli, purché l’equilibrato impiego di tali componenti sia caratterizzato dalla leale cooperazione tra Stato e Regioni. E’ infatti l’indefettibilità dell’erogazione dei LEA la clausola di garanzia che costituisce limite e punto di riferimento della divisione binaria del finanziamento tra spese correnti e spese di investimento degli enti del Servizio sanitario nazionale e non la dinamica dei rapporti tra patrimonio netto e conto economico, la quale in concreto non assume rilevanza quando si verificano criticità nella funzionalità del sistema regionale.

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